Conversazioni tra un religioso e un poco credente

di Ninetta Pierangeli

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IL SENSO DELLA VITA

Mi è stato regalato un libro che non è un romanzo né un saggio, ma un dialogo tra due persone che si definiscono un religioso, cioè Vincenzo Paglia, e un poco credente, cioè Luigi Manconi.

Devo dire che, al di là della notorietà dei dialoganti coinvolti, il testo presenta pochi argomenti e del tutto triti e ritriti: immigrazione, procreazione e genitorialità, eutanasia. E poi: anziani, carcere, sessualità, ecologia, ricchezza e povertà. Tutte questioni, in cui la posizione della Chiesa cattolica è ben chiara, con le aperture di papa Francesco, che però non modificano sostanzialmente non solo la dottrina, ma neanche la morale.

A chi interessa questo confronto, per quanto svolto oltre i pregiudizi tra morale laica e cattolica e cercando terreni comuni di impegno?

Un’istanza, ho trovato di cui Mancuso si fa portavoce e che a un certo punto poi Paglia riprende, ed è questa: Alle encicliche, come ai preti, chiedo una testimonianza di fede, proprio perché la sento da me lontana e indecifrabile, e non un breviario sociologico o un programma politico o un manifesto delle idee, per quanto virtuose e condivisibile esse siano (p.44).

Il poco credente vorrebbe vedere fra le “cose di Chiesa”  una testimonianza della fede, cioè una ragione vivente del perché credere che per lui è indecifrabile e non idee e programmi condivisibili da tutti. Mancuso sembra chiedere alla Chiesa di manifestare la sua alterità rispetto al mondo, rispetto al già conosciuto. Le ragioni della sua alterità, della sua differenza, e non la sua identità di vedute e stili di vita con quelli dei tanti virtuosi mondani. 

Di seguito, Mancuso dice ancora: Perciò tratto con circospezione questo tema della fraternità e non mi lascio attrarre dalle tue accattivanti elaborazioni. Mi sembrano nuove utopie, costruzioni compiute e affascinanti, ma sostanzialmente volontaristiche che tendono a negare o a ridimensionare la contraddizione (p. 44) e in ultima analisi, non risolvono il suo deficit di speranza (p.44).

Io direi, che la fine delle grandi narrazioni pone ogni utopia nell’al di qua di un modernità già passata. Inseguendo l’utopia, la Chiesa si pone un passo indietro rispetto a una società post moderna che delle costruzioni volontaristiche ha già visto l’inconcludenza, l’inefficacia, l’autocontraddizione. E la loro incapacità di diventare una speranza reale.

Mancuso chiede dunque al sacerdote un motivo per credere, un motivo per sperare. Ma poi, lungo tutto il libro, come dicevo, si scende nei particolari di questioni banali già tante volte presentate nei talk tra religiosi e laici. L’unico spiraglio di speranza che questa lettura lascia è nel finale di un Paglia che cita Dante e alcuni versi del Paradiso XIV poco noti:

Tanto mi parver subito accorti

E l’uno e l’altro coro a dicer “Amme!”,

che ben motrar disio de’ corpi morti

La resurrezione della carne è ciò a cui anelano i santi in Paradiso. Già santi, e perciò felici e beati, eppure la loro felicità non è compiuta finché non riacquisteranno il corpo. La carne manca alle utopie della modernità, fra le quali quella della fraternità non è sorta certo per ultima.