Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro
In questo post ‘PASSEGGIATE LETTERARIE: L’ORA DI GRECO’ è possibile riflettere su un modo personale di analizzare un testo che ci rende consapevoli di molteplici aspetti di un’opera letteraria. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione le analisi dell’autrice autorevole di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare il proprio manoscritto con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordiente per un successo letterario.
PASSEGGIATE LETTERARIE L’ORA DI GRECO di HAN KANG

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L’ORA DI GRECO DI HAN KANG
Recensione di Rosetta Martorana

“Il greco utilizzato da Platone assomiglia a un frutto maturo sul punto di cadere dal ramo. Nelle generazioni successive, conoscerà una rapida decadenza. Non solo la lingua, anche le città-stato andranno incontro al declino. In questo senso, potremmo dire che Platone aveva di fronte a sé il tramonto non solo della sua lingua, ma di tutto il suo mondo”
Attraverso questo concetto sviluppato dall’insegnante di greco si può cogliere il profondo e sottinteso significato del libro; del resto il mondo esterno a noi inteso come società, politica e Storia viene espresso dalle parole del nostro tempo attraverso la loro grammatica, per mezzo della prossemica e perché no anche con le forme dei non detti.
Le lingue antiche necessitavano di una semplificazione e di una funzionalità semplice e infantile per autogestire le emozioni e quindi si strutturavano su basi linguistiche meno ordinate e quindi più libere. Man mano le lingue correnti europee si son presentate e si presentano come il frutto di una lunghissima trasformazione che le ha rese, sempre più, meno accurate, meno complesse e meno rigide perché ogni lingua è il sintomo e lo specchio delle condizioni di una società e di una civiltà.

La coprotagonista del romanzo perde la parola per due volte in circostanze diverse e in epoche della sua vita distanti tra loro, ma questo evento non è soltanto un trauma psicologico, ma soprattutto filosofico ed infatti “Questo silenzio tornato dopo vent’anni non ha né il tepore, né la densità, né la luminosità del primo. Se in passato faceva pensare al silenzio che precede la nascita, ora assomiglia più a quello che segue la morte”
Il greco però si identifica con il mezzo comunicativo con quelli che ci hanno preceduto vivendo in un’altra civiltà e in un’altra dimensione culturale per continuare la conversazione oltre i confini fisici e temporali, alla maniera machiavellica, ma la consistenza del linguaggio va via via svanendo in contemporanea con la narrazione evaporando con l’ultima parola del romanzo.
La pagina di un libro, di un’opera, di un brano o di una poesia ha un suo spazio alla stessa maniera dello spazio occupato da ognuno di noi nel mondo, ma la voce del linguaggio va al di là dei confini del nostro corpo superandoli e divenendo patrimonio di chi sa ascoltare,
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L’altro coprotagonista del romanzo, che è un uomo, scrive una lettera ad un amico defunto, ma vissuto come interlocutore vivo, in ascolto e protagonista pure lui di un dialogo che si materializza tramite il ricordo del narratore dei fatti del passato. Attraverso la dilatazione del linguaggio che penetra il tempo fissandolo e cristallizzandolo i vari sensi, come la vista o altri contatti, vengono sostituiti dalla parola.
Han Kang riesce a creare un’atmosfera precisa permanendo nello stato d’animo del lettore e favorendo maggiormente un approccio cerebrale al testo con sensazioni, immagini e situazioni che realizzano atmosfere limitanti che non permettono una lettura di totale trascinamento emotivo e obbligando chi legge a sapere trovare il percorso interpretativo più idoneo; cosa non semplice se le tecniche narrative spaziano dal monologo alla poesia o alla lettera.

Tra il mutismo della donna e la semicecità dell’uomo non è certo facile trovare la strada interpretativa di un testo pure poetico a tratti.
“ Lo straniamento che pervade l’intero romanzo di Kang, infatti, sembra ricomporsi per i protagonisti attraverso la proiezione in un altro da sé—se l’apprendimento di un’altra lingua può definirsi tale, soprattutto se si tratta di una di quelle lingue che, a torto o ragione, definiamo “morte”, come il greco. L’ostinazione dell’uomo a volere insegnare il greco in Corea del Sud e l’ abnegazione della donna a volerlo apprendere nonostante la propria afasia esprimono il significato della ricerca personale dei due personaggi alle prese con un dialogo estenuante con l’origine stessa del linguaggio e della parola e quindi della possibilità della narrazione e dell’auto-narrazione”

Tra le varie interpretazioni date a “L’ora di greco” c’è anche quella di aprire un dialogo tra Oriente e Occidente tramite il protagonista maschile e i suoi ricordi che ci portano in Europa dove il greco assume il compito di una lingua neutra che sta alla base della cultura occidentale, ma anche porta d’ Oriente che intende avvicinare un “Oriente” molto lontano.
La trama
“ in una Seoul rovente e febbrile, una donna vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito ad una serie di traumi.

Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’insolito suono di una parola francese a scardinare il silenzio.
Ora di fronte al riaffiorare di quel mutismo, si aggrappa alla radicale estraneità del greco di Platone nella speranza di riappropriarsi della sua voce.
Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco che sta perdendo la vista e che, emigrato in Germania da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio liminale fra le due lingue. Tra di loro nasce un’intimità intessuta di penombra e di perdita, grazie alla quale la donna riuscirà forse a ritornare in contatto con il mondo,

Scritto dopo “La vegetariane” e definito dalla stessa autrice “quasi un suo lieto fine”, “L’ora di greco” si insinua –avvolto in un bozzolo di apparente semplicità- nella mente del lettore , come un “assurdo indimostrabile”, una voce limpida e familiare che arriva da un altro pianeta.
I protagonisti
I protagonisti di questa storia non hanno un nome e restano dei volti che si identificano con i loro ricordi e le loro espressioni. Sono ambedue legati ad una perdita morale e sentimentale; lei è tormentata dalla perdita di un figlio affidato improvvisamente al marito da cui ha divorziato, lui è invece rassegnato ad un amore che non può vivere ed anche con il tempo non vedere; l’una cerca nell’altro e viceversa il conforto attraverso le vicendevoli cose taciute.
L’idea di una lingua non usata più da nessuno arriva a consolare lei, mentre lui si perde nella lentezza di lei infagottata di gramaglie dove vorrebbe annullarsi.
La perdita scaturisce in loro un’immobilità spezzata solo dal calore affettivo virtualmente accennato da ambo le parti.
Il linguaggio è al centro della vicenda che si esplica nel protagonista maschile attraverso la conoscenza del coreano, del tedesco e del greco, lei invece non lo utilizza più a causa del suo silenzio.
Han Kang usa magistralmente le parole partendo dalla struttura stessa del romanzo, costruendo un testo che si andrà sempre più assottigliando fino a diventare frasi spezzettate, accennate ed essenziali.
Il senso di smarrimento dei protagonisti, messi a confronto con il dolore di una perdita, si identifica con il collasso medesimo del linguaggio.
Ambedue abbracciano il silenzio che rende ancora più potente lo scorrere del tempo ed una volta liberi da ogni sovrastruttura allora riescono a portare a termine la loro impresa esistenziale.“L’ora di greco” mette in luce la fatica del comprendere sé stessi e gli altri e del lasciarsi conoscere. Potrebbe essere definito un esperimento teorico, una struttura semantica del rapporto tra sofferenza, espressione e linguaggio che prima nega e poi conferma gli elementi essenziali della comunicazione.
CONCLUSIONI :
“L’ORA DI GRECO” è un libro, a mio avviso, di non facile approccio per aver portato il linguaggio su una dimensione da protagonista apparentemente indiretto perché la donna e l’uomo sono gli strumenti dello svolgimento fisico e metafisico della parola e della struttura linguistica; si è creato un rapporto simbiotico tra i personaggi, le situazioni, i sentimenti e il tempo in senso lato, ma anche individuale toccando le caratteristiche sincroniche e diacroniche degli avvenimenti che avvolgono le persone portandole in una dimensione altra.
Risulta affascinante la chiave di lettura della lingua greca nel momento di splendore tramite Platone che diventa però anche strumento di esemplificazione di un’ epoca di decadenza; Platone come il Demiurgo storico della civiltà greca.
La scelta di questa lingua antica e ormai morta è identificativa della complessità strutturale e semantica che viene traslata nel vissuto, tanto che il romanzo inizia con una sua impalcatura quasi canonica e poi via via il linguaggio si frantuma, si spezzetta come briciole fino quasi ad evaporare e diventare evanescente.
Bisogna riconoscere all’autrice il merito di un lavoro unico avendo saputo mescolare esistenzialismo, mondo interiore delle persone, filosofia accompagnata da alcuni elementi sociologici.
Confronto
La storia, il silenzio di lei e l’atmosfera sospesa in una specie di Limbo portano alla mente le immagini del film “Lezioni di piano” di Jane Campion dove Ada, muta dall’età di sei anni, comunica tramite il suo pianoforte e le sue note che danno un senso alla sua vita fatta di silenzi, di un matrimonio con un uomo tiranno e insensibile e della conoscenza di un maori, Baines, a cui insegna la musica da cui viene attratto anche se rozzo e legato al suo mondo con tutte le tradizioni che lo contraddistinguono.
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