PASSEGGIATE LETTERARIE: L’ORA DI GRECO

Molti libri antichi ordinati in una vecchia libreria di noce.
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Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro

In questo post ‘PASSEGGIATE LETTERARIE: L’ORA DI GRECO’ è possibile riflettere su un modo personale di analizzare un testo che ci rende consapevoli di molteplici aspetti di un’opera letteraria. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione le analisi dell’autrice autorevole di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare il proprio manoscritto con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordiente per un successo letterario.

PASSEGGIATE LETTERARIE L’ORA DI GRECO di HAN  KANG
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L’ORA DI  GRECO        DI  HAN  KANG

Recensione di Rosetta Martorana

L'immagine rappresenta la copertina di un libro dal titolo 'L'ora di greco' - di HAN KANG - premio nobel
Passeggiate letterarie 15

“Il  greco  utilizzato  da  Platone  assomiglia  a un  frutto  maturo  sul  punto  di  cadere  dal  ramo.  Nelle  generazioni  successive,  conoscerà  una  rapida  decadenza.  Non  solo  la  lingua,  anche  le  città-stato  andranno  incontro  al  declino.  In  questo  senso,  potremmo  dire  che  Platone  aveva  di  fronte  a  sé  il  tramonto  non  solo  della  sua  lingua,  ma  di  tutto  il  suo  mondo”

Attraverso  questo  concetto  sviluppato  dall’insegnante  di  greco  si  può  cogliere  il  profondo  e  sottinteso  significato  del  libro;  del  resto  il  mondo  esterno  a  noi  inteso  come società,  politica  e  Storia  viene  espresso  dalle  parole  del  nostro  tempo  attraverso  la  loro  grammatica,  per  mezzo  della  prossemica e  perché  no  anche  con  le  forme  dei  non  detti.

Le  lingue  antiche  necessitavano  di  una  semplificazione  e  di  una  funzionalità  semplice  e  infantile  per  autogestire  le  emozioni  e  quindi  si  strutturavano  su  basi  linguistiche  meno  ordinate  e  quindi  più  libere.  Man  mano  le  lingue  correnti  europee  si  son  presentate  e  si  presentano  come  il  frutto  di  una  lunghissima  trasformazione  che  le  ha  rese,  sempre  più,  meno  accurate,  meno  complesse  e  meno  rigide  perché  ogni  lingua  è  il  sintomo  e  lo  specchio  delle  condizioni  di  una  società  e  di  una  civiltà.

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La  coprotagonista  del  romanzo  perde  la  parola  per  due  volte  in  circostanze  diverse  e  in  epoche  della  sua  vita  distanti  tra  loro,  ma  questo  evento  non  è  soltanto  un  trauma  psicologico,  ma  soprattutto  filosofico  ed  infatti  “Questo  silenzio  tornato  dopo  vent’anni  non  ha  né  il  tepore,  né  la  densità,  né  la  luminosità  del  primo.  Se  in  passato  faceva  pensare  al  silenzio  che  precede  la  nascita,  ora  assomiglia  più  a  quello  che  segue  la  morte”

Il  greco  però  si  identifica  con  il  mezzo  comunicativo  con  quelli  che  ci  hanno  preceduto  vivendo  in  un’altra  civiltà  e  in  un’altra  dimensione  culturale  per  continuare  la  conversazione  oltre  i  confini  fisici  e  temporali,  alla  maniera  machiavellica,  ma  la  consistenza  del linguaggio  va  via  via  svanendo  in  contemporanea  con  la  narrazione  evaporando  con  l’ultima  parola  del  romanzo.

La  pagina  di  un  libro,  di  un’opera,  di  un  brano  o  di  una  poesia  ha  un  suo  spazio  alla  stessa  maniera  dello  spazio  occupato  da  ognuno  di  noi  nel  mondo,  ma  la  voce  del  linguaggio  va  al  di  là  dei  confini  del  nostro  corpo  superandoli  e  divenendo  patrimonio  di  chi  sa  ascoltare,

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L’altro  coprotagonista  del  romanzo,  che  è  un  uomo,  scrive  una  lettera  ad  un  amico  defunto,  ma  vissuto  come  interlocutore  vivo,  in  ascolto  e  protagonista  pure  lui  di  un  dialogo  che  si  materializza  tramite  il  ricordo  del  narratore  dei  fatti  del  passato.  Attraverso  la  dilatazione  del  linguaggio  che  penetra  il  tempo  fissandolo  e  cristallizzandolo  i  vari  sensi,  come  la  vista  o  altri  contatti, vengono  sostituiti  dalla  parola.

Han  Kang  riesce a  creare  un’atmosfera  precisa  permanendo  nello  stato  d’animo  del  lettore  e  favorendo  maggiormente   un  approccio  cerebrale  al  testo  con  sensazioni,  immagini  e  situazioni  che  realizzano  atmosfere  limitanti  che  non  permettono  una  lettura  di  totale  trascinamento  emotivo  e  obbligando  chi  legge  a  sapere  trovare  il  percorso  interpretativo  più  idoneo;  cosa  non  semplice  se  le  tecniche  narrative  spaziano  dal  monologo alla  poesia  o  alla  lettera.

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Tra  il  mutismo  della  donna  e  la  semicecità  dell’uomo  non  è  certo  facile  trovare  la  strada  interpretativa  di un  testo  pure  poetico  a  tratti.

“ Lo  straniamento  che  pervade  l’intero  romanzo  di  Kang,  infatti,  sembra  ricomporsi  per  i  protagonisti  attraverso  la  proiezione  in  un  altro da  sé—se  l’apprendimento  di  un’altra  lingua  può  definirsi  tale,  soprattutto  se  si  tratta  di  una  di  quelle  lingue  che,  a  torto  o  ragione,  definiamo  “morte”,  come  il  greco.  L’ostinazione  dell’uomo  a  volere  insegnare  il  greco  in  Corea  del  Sud  e  l’  abnegazione  della  donna  a  volerlo  apprendere  nonostante  la  propria  afasia  esprimono  il  significato  della  ricerca  personale  dei  due  personaggi  alle  prese  con  un  dialogo  estenuante  con  l’origine  stessa  del  linguaggio  e  della  parola  e  quindi  della  possibilità  della  narrazione  e  dell’auto-narrazione”

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Tra  le  varie  interpretazioni  date  a  “L’ora  di  greco”  c’è  anche  quella  di  aprire  un  dialogo  tra  Oriente  e  Occidente  tramite  il  protagonista  maschile  e  i  suoi  ricordi  che  ci  portano  in  Europa  dove  il  greco  assume  il  compito  di  una  lingua  neutra  che  sta  alla  base  della  cultura  occidentale,  ma  anche  porta  d’ Oriente  che  intende  avvicinare  un  “Oriente”  molto  lontano.

La trama

 “  in  una  Seoul  rovente  e  febbrile,  una  donna  vestita  di  nero  cerca  di  recuperare  la  parola  che  ha  perso  in  seguito  ad  una  serie  di  traumi.

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Le  era  già  successo  una  prima  volta,  da  adolescente,  e  allora  era  stato  l’insolito  suono  di  una  parola  francese  a  scardinare  il  silenzio.  

Ora  di  fronte  al  riaffiorare  di  quel  mutismo,  si  aggrappa  alla  radicale  estraneità  del  greco  di  Platone  nella  speranza  di  riappropriarsi  della  sua  voce.

Nell’aula  semideserta  di  un’accademia  privata,  il  suo  silenzio  incontra  lo  sguardo  velato  dell’insegnante  di  greco  che  sta  perdendo  la  vista  e  che,  emigrato  in  Germania  da  ragazzo  e  tornato  a  Seoul  da  qualche  anno,  sembra  occupare  uno  spazio  liminale  fra  le  due  lingue. Tra  di  loro  nasce  un’intimità  intessuta  di  penombra  e  di  perdita,  grazie  alla  quale  la  donna  riuscirà  forse  a  ritornare  in  contatto  con  il  mondo,

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Scritto  dopo  “La  vegetariane”  e  definito  dalla  stessa  autrice  “quasi  un  suo  lieto  fine”,  “L’ora  di  greco”  si  insinua  –avvolto  in  un  bozzolo  di  apparente  semplicità- nella  mente  del  lettore  ,  come  un  “assurdo  indimostrabile”,  una  voce  limpida  e familiare  che  arriva  da  un  altro  pianeta.

I protagonisti

I  protagonisti  di  questa  storia  non  hanno  un  nome  e  restano  dei  volti  che  si  identificano  con  i  loro  ricordi  e  le  loro  espressioni. Sono  ambedue  legati  ad  una  perdita  morale  e  sentimentale;  lei   è  tormentata  dalla  perdita  di  un  figlio  affidato  improvvisamente  al  marito  da  cui  ha  divorziato,  lui  è  invece  rassegnato  ad  un  amore che  non  può  vivere  ed  anche  con il  tempo  non  vedere;  l’una  cerca  nell’altro  e  viceversa  il  conforto  attraverso  le  vicendevoli  cose  taciute.


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L’idea  di  una  lingua  non  usata  più  da  nessuno  arriva  a  consolare  lei,  mentre  lui  si  perde  nella  lentezza  di lei  infagottata  di  gramaglie  dove  vorrebbe  annullarsi.

La  perdita  scaturisce  in  loro  un’immobilità  spezzata  solo  dal    calore  affettivo  virtualmente  accennato da  ambo  le  parti.

Il  linguaggio  è  al  centro  della  vicenda che  si  esplica  nel  protagonista  maschile  attraverso  la  conoscenza  del  coreano,  del  tedesco  e  del  greco,  lei  invece  non  lo  utilizza  più  a  causa  del  suo silenzio.

Han  Kang  usa  magistralmente  le  parole  partendo  dalla  struttura  stessa  del  romanzo,  costruendo  un  testo  che  si  andrà  sempre  più  assottigliando  fino a  diventare  frasi  spezzettate,  accennate  ed  essenziali.

Il  senso  di  smarrimento  dei  protagonisti,  messi  a  confronto  con  il  dolore  di  una  perdita,  si  identifica  con  il  collasso  medesimo  del  linguaggio.          

     Ambedue  abbracciano  il  silenzio  che  rende  ancora  più  potente  lo  scorrere  del  tempo  ed  una  volta  liberi da  ogni  sovrastruttura  allora  riescono  a  portare  a  termine  la  loro  impresa  esistenziale.“L’ora  di  greco”  mette  in  luce  la  fatica  del  comprendere  sé  stessi  e  gli  altri  e  del  lasciarsi  conoscere.  Potrebbe  essere  definito  un  esperimento  teorico,  una  struttura  semantica  del  rapporto  tra  sofferenza,  espressione  e  linguaggio  che  prima  nega  e  poi  conferma  gli  elementi  essenziali  della  comunicazione.

CONCLUSIONI  :

“L’ORA  DI  GRECO”  è  un  libro,  a  mio  avviso,  di  non  facile  approccio  per  aver  portato  il  linguaggio  su  una  dimensione  da  protagonista  apparentemente  indiretto  perché    la  donna  e  l’uomo  sono  gli  strumenti  dello  svolgimento  fisico  e  metafisico  della  parola  e  della  struttura  linguistica;  si è  creato  un  rapporto  simbiotico  tra  i  personaggi,  le  situazioni,  i  sentimenti  e  il  tempo  in  senso  lato,  ma  anche  individuale  toccando  le  caratteristiche  sincroniche  e  diacroniche   degli  avvenimenti  che  avvolgono  le  persone  portandole  in  una  dimensione  altra.

Risulta  affascinante  la  chiave  di  lettura  della  lingua  greca  nel  momento  di  splendore  tramite  Platone  che  diventa  però  anche  strumento  di  esemplificazione  di  un’ epoca  di  decadenza;  Platone  come  il  Demiurgo  storico  della  civiltà  greca.

La  scelta  di  questa  lingua  antica  e  ormai  morta  è  identificativa  della  complessità  strutturale  e  semantica  che  viene  traslata  nel  vissuto,  tanto  che  il  romanzo  inizia  con  una  sua  impalcatura  quasi  canonica  e  poi  via  via  il  linguaggio  si  frantuma,  si  spezzetta  come  briciole  fino  quasi  ad  evaporare  e  diventare  evanescente.    

Bisogna  riconoscere  all’autrice  il  merito  di  un  lavoro  unico  avendo  saputo  mescolare  esistenzialismo,    mondo  interiore  delle  persone,    filosofia  accompagnata  da  alcuni  elementi  sociologici.    

Confronto

La  storia,  il  silenzio  di  lei  e  l’atmosfera  sospesa  in una  specie  di  Limbo  portano  alla  mente  le  immagini  del  film  “Lezioni  di  piano” di  Jane  Campion  dove Ada,  muta  dall’età  di  sei  anni,  comunica  tramite  il suo  pianoforte  e  le  sue  note  che  danno  un  senso  alla  sua  vita  fatta  di  silenzi,  di  un  matrimonio  con  un  uomo  tiranno  e  insensibile  e  della  conoscenza  di  un  maori,  Baines,  a  cui  insegna  la  musica  da  cui  viene  attratto  anche  se  rozzo  e  legato  al  suo  mondo  con  tutte  le  tradizioni  che  lo  contraddistinguono.

SUGGERIMENTO

Gli articoli di Maria Rosa Giannalia

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