Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro
In questo post ‘Passeggiate Letterarie: L’eredità di Eszter’ è possibile riflettere su un modo personale di analizzare un testo che ci rende consapevoli di molteplici aspetti di un’opera letteraria. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione le analisi dell’autrice autorevole di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare il proprio manoscritto con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordiente per un successo letterario.
PASSEGGIATE LETTERARIE
L’eredità di Eszter

L’eredità di Eszter
La recensione che leggerete oggi è opera di Alessandra Seu, appassionata di letteratura e membro del gruppo: Percorsi di lettura, gruppo a cui appartengono Rosetta Martorana di cui avete letto, qui in questa rubrica, diverse recensioni, Gemma Pardocchi di cui abbiamo pubblicato una recensione e, naturalmente, anche io stessa che coordino questo gruppo e che dirigo questa rubrica “Passeggiate letterarie” all’interno del sito noiscrittorinoilettori, diretto da Antonio De Martino.
Ho pensato che questa rubrica possa diventare un angolo dedicato esclusivamente alla critica delle opere di narrativa e alle recensioni di quelle che più ci sono piaciute. E mi è parso bello far parlare più persone in una polifonia che dia vita e colore condivisi ai libri che andiamo leggendo e ponga le basi per un confronto tra quelli che come noi amano la lettura.
Per questo invito anche voi lettori, se volete, a lasciare le vostre opinioni sui commenti.

L’eredità di Eszter – di Sàndor Màrai
Recensione di Alessandra Seu
Pubblicato in Ungheria nel 1939 e apparso in traduzione italiana per i tipi di Adelphi, Milano nel 1999, questo romanzo di Sandor Màrai rivela, confermando ancora una volta, un autore brillante, dallo stile asciutto e sorprendentemente moderno: nel romanzo convivono l’ eleganza retrò con cui è disegnata la cornice, cioè l’ ambientazione – non solo per quanto riguarda i luoghi ma anche le consuetudini sociali – e la modernità nella costruzione dei personaggi, attenta e disincantata sotto il profilo psicologico, nonché priva di ogni retaggio tardo romantico, cosa che invece è ancora rintracciabile ne “Le braci”, come giustamente l’ autore stesso rimarcava, fortemente critico verso se stesso. Con “Le braci” ha però in comune alcune delle tematiche principali, distintive di Màrai: l’onda lunga degli eventi passati irrisolti che fanno risentire i propri effetti a distanza di decenni e soprattutto la tematica dell’attesa, di quella resa dei conti risolutiva che era mancata un tempo; ma ancor più, in entrambi, è dominante l’incompiutezza: ciò che è rimasto irrisolto, difficilmente potrà trovare un epilogo catartico o comunque soddisfacente, per quanti anni siano trascorsi. Verrebbe quasi da dire, parafrasando l’autore stesso, che, così come “gli amori infelici non finiscono mai”, neppure le attese infinite di riscatto di vite irrisolte possano avere una fine.

I personaggi sono disegnati magistralmente, anche quelli secondari e perfino quelli appena tratteggiati sullo sfondo dei ricordi, come ad esempio i genitori di Ezster e la sorella Vilma: nessuno di loro appare sbiadito o superfluo, sono scolpiti in modo efficace e rapido, a tutto tondo.
Eppure, come è giusto che sia, emergono con prepotenza i due protagonisti: Laios ed Ezster.
Mi sono trovata inizialmente in difficoltà a definire a chi dei due spetti il ruolo di protagonista: è canonico, nella narrazione di stampo classico, che ci sia un protagonista, la cui vicenda ed il cui vissuto rappresentano l’ ossatura della narrazione stessa, ed un antagonista. Qui però Màrai spariglia le carte: malgrado l’impianto classico della costruzione della trama, qui il protagonista assoluto è, a mio parere, proprio colui che, ad una lettura non approfondita, sembrerebbe rappresentare l’antagonista, e cioè Laios. È lui, negli eventi passati che costituiscono le fondamenta della vicenda, come nel presente in cui ritorna prepotentemente e sfacciatamente nella vita di Ezster, a dettare il ritmo e il concatenarsi degli eventi, lui, con la sua incredibile faccia tosta, con il suo narcisismo e la sua capacità di manipolazione a cui praticamente nessuno risulta immune, tranne Nunu, impassibile spettatrice degli eventi. Ezster è ridotta al ruolo di succube: non sarebbe appropriato neppure definirla antagonista in senso stretto, in quanto lei, pur conscia della reale natura di Laios, neppure prova a opporsi, anzi neppure pensa di averne il diritto. Se lui è l’emblema del personaggio negativo senza se e senza ma, farabutto tra i più spregevoli incontrati tra le pagine di ogni tempo, lei è sicuramente la personificazione della vittima, si comporta come se fosse in preda ad una sorta di ipnosi: mi ha fatto pensare agli adepti di alcune sette, che sono capaci di dare non solo i propri beni, come Ezster, ma addirittura le proprie vite, come topi dietro il pifferaio magico.
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Entrambi i comportamenti, sia quello del carnefice, del manipolatore, che quello della vittima, che si fa manipolare fino a convincersi di essere lei colpevole, sono indicativi di una grave immaturità psicologica ed emotiva: il narcisismo è tipico, ed entro certi limiti fisiologico, dei bimbi piccoli, i quali non hanno una percezione matura della propria relazione con gli altri e quindi si ritengono il centro del mondo, il quale finisce dove loro non possono “vedere oltre”; per la stessa ragione però è facile che un bimbo possa sentirsi in colpa per ciò che gli accade intorno, non essendo in grado di afferrare ancora il concetto dell’indipendenza degli eventi dalla propria persona. Insomma, di fatto Laios ed Ezster non sono altro che due facce della medesima medaglia: personalità immature e dunque irrisolte, incapaci quindi di spezzare l’attesa che pervade l’ intero romanzo.
Nota biografica: https://it.wikipedia.org/wiki/S%C3%A1ndor_M%C3%A1rai




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