SPUNTI POETICI: Sull’essere poeti e sulle controindicazioni…

Molti libri antichi ordinati in una vecchia libreria di noce.
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Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro

In questo post ‘SPUNTI POETICI: Sull’essere poeti e sulle controindicazioni…‘ è possibile riflettere sull’essere poeti. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione l’articolo dell’autore autorevole di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare le proprie opere con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordienti per un successo letterario.

DAVIDE MORELLI

Sull’essere poeti e sulle controindicazioni…

IL SENSO DELLA VITA

Un romanzo di Antonio De Martino

IL SENSO DELLA VITA

SPUNTI POETICI: Sull’essere poeti e sulle controindicazioni…

Questa civiltà dell’immagine, consumistica, capitalista, mediatica ci impone la socialità nella vita reale e l’asocialità della connessione (non saprei come altro definirla) nella vita virtuale. Da una parte siamo omologati, mentre dall’altra siamo tutti rinchiusi dentro le nostre bolle di filtraggio. 

Bisogna inoltre produrre e consumare. 

In ogni caso si deve fuggire dai nostri problemi più profondi e più veri, dalla paura del futuro, dall’angoscia della morte. In ogni caso non si deve pensare e si deve fuggire da sé stessi, dal nostro nucleo più intimo e segreto. 

La poesia, quella più autentica, invece dovrebbe (dico dovrebbe) mettere in relazione con quella parte più vera di noi stessi, con il nostro io più profondo, ma dovrebbe anche aiutarci ad aprirci verso l’Altro (inconscio, mondo, Dio). 

Tra la fitta boscaglia, riprendendo Heidegger,  alla fine si trova sempre uno spiraglio di luce, una radura che schiude un nuovo orizzonte di senso.

La poesia è incontro, nel peggior caso con lati di noi stessi che non conosciamo. Si dice che un poeta si mette a nudo perché per essere veramente poeti bisogna essere disarmati: bisogna gettare maschera, convenzioni, apparenze, orpelli inutili, corazze interiori. Da questo punto di vista poesia è sinonimo di disvelamento di noi stessi e della realtà,  ma è anche esplorazione dell’interno, dell’esterno, di come io e mondo interagiscono tra di loro. 

Poesia è quindi, in ogni caso, conoscenza. Per noi occidentali tutto deve essere quantificato. Eppure c’è un’energia, presente nell’universo, che non può essere misurata con gli attuali strumenti della fisica. La poesia ci ricorda che non tutto può essere quantificato, che bisogna prima qualificare.

Potremmo affermare che la poesia, quella vera, qualifica e nomina l’essenza. Ma questo disvelamento, questa apertura, questa ricerca dell’essenza può avere anche controindicazioni ed effetti collaterali.

Prima di tutto amare la poesia è una scelta di vita difficile. Significa scegliere di percorrere la strada meno battuta di Frost. Significa scegliere una strada impervia, irta, in salita, solitaria per il tempo che richiede la poesia (Pasolini in “Al principe” scriveva che ci vogliono ore e ore di solitudine al giorno per essere poeti), per la mancanza di riscontro di pubblico (Alfonso Berardinelli già negli anni Settanta scriveva che il pubblico della poesia sono i poeti stessi e gli aspiranti poeti), per l’irrilevante incisività nella vita reale.

Ma essere poeti veramente significa anche andare in fondo a sé stessi, cercare di capire le leggi del mondo interiore ed esterno. Alla fine ci si imbatte con le proprie fratture interne, con le proprie zone morte, con le brutture nostre e del mondo (Adorno sosteneva che non si possono più scrivere poesie dopo Auschwitz.  

Neanche mille Dante e mille Shakespeare possono  riscattare l’umanità da quell’orrore, da quell’insensatezza e da quella sofferenza di una tragedia assurda). Bisognerebbe sempre ricordarsi a tal proposito che il più grande capolavoro artistico vale meno di una vita umana, che in questo senso ogni vita umana è una grandissima opera d’arte, anzi molto di più perché l’arte rappresenta la vita, al massimo può essere simbolo, mito, surrogato, trasfigurazione della vita, ma anche l’essere umano più abietto è esso stesso vita vera.

Ogni vita è degna di diventare romanzo: così scriveva la Kristóf. Dirò di più: ogni vita vale molto di più di un grande romanzo. Essere poeti significa anche riuscire a cogliere non solo la bellezza del Creato, ma anche la stupidità, l’assurdità,  la follia nostra e del mondo. La poesia, quella vera, è una continua lotta con l’angelo, un continuo corpo a corpo con l’incomprensibile, l’inesprimibile, il trascendente. E non sempre tutto questo può rendere felici, anzi talvolta può essere causa di infelicità.  Non sempre quello che troviamo nel nostro animo e nel mondo ci piace. Ci possono anche essere cose che ci disgustano profondamente. Quindi non chiedete troppo alla poesia, ai poeti, ai vostri versi. 

A ogni modo il fallimento è inesorabile sempre e comunque perché scrivere è misurarsi con il proprio fallimento umano (la poesia non vince la nostra finitezza, al, massimo la trascende un poco, eternando qualche istante), prima ancora che artistico (al massimo si può giungere a scrivere il nostro non detto, ma solo una parte, perché c’è sempre una quota parte di indicibile. Il nostro significante nel migliore dei casi può solo tendere asintoticamente al vero significato che ci sfugge) e sociale (cosa volete che conti la poesia, anche quella memorabile, in questa civiltà tecnologica,  scientifica, ma alla fine nichilista?).


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