Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro

MARIA ROSA GIANNALIA

PATRIA
di Fernando Aramburu

Capita a volte che un libro, in questo caso un romanzo, ci appassioni talmente tanto che quando si raggiunge la parola “fine” ci si senta quasi deprivati di un amico. Un amico che ci ha intrattenuto per un numero di ore o di giorni, proiettandoci, anche se siamo comodamente seduti sul nostro divano, in una realtà totalmente differente dalla nostra che, a mano a mano che ci addentriamo nelle pagine, diventa la “nostra” realtà, almeno per tutta la durata della lettura.
Questo è ciò che è accaduto a me lettrice nel momento in cui ho aperto la prima pagina del romanzo “Patria” di Fernando Aramburu. E se la bontà di un libro si misura dalla sua capacità di coinvolgimento del lettore, dal suo interesse per quanto narrato, dalla capacità di coinvolgimento del testo, allora questo romanzo di cui vado a parlare è davvero da ascrivere al novero dei libri più belli che ho letto finora.

Breve nota biografica dell’autore

Scrittore basco, nasce a San Sebastián nel 1959 e compie gli studi di Filologia ispanica all’Università di Saragozza[1].
Insegna per alcuni anni spagnolo in Germania e comincia a dedicarsi alla scrittura spaziando nella sua vasta produzione dai romanzi e i racconti alle poesie, i saggi e i libri per ragazzi[2].
La sua ultima opera, Patria ha ricevuto il prestigioso Premio de la Crítica 2016[3], il Premio Nazionale di Letteratura per la Narrativa di Spagna 2017[4] e, nel 2018, il Premio Strega Europeo[5] e il Premio letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa[6].

La trama
Pochi anni dopo l’omicidio di Txato, imprenditore di una piccola città rurale della Guipúzcoa, l’ETA annuncia l’ennesimo “cessate il fuoco” (anno 2011). Bittori, la vedova di Txato, ha visitato la sua tomba a Polloe. Dopo la notizia, decide di visitarlo ancora una volta e di dirgli che intende tornare in città, dalla quale ha dovuto andare in esilio con la sua famiglia a causa del clima di tensione politica che viveva in una città governata dalla repressione della sinistra abertzale. Tuttavia, nonostante sia tornata segretamente, il ritorno di Bittori altera la falsa pace tra coloro che un tempo erano vicini e persino amici, fino a quando le circostanze non causarono molestie alla sua famiglia. Nel corso del romanzo, Bittori proverà a trovare risposte.


Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Patria_(romanzo)

Questo romanzo ha davvero la capacità di coinvolgere il lettore, rendendolo partecipe non solo della vicenda narrata ma della vita e del destino di tutti i personaggi.
Perché questo accade?
Intanto l’ambientazione: ci troviamo nei paesi baschi, una realtà geografica sui generis nel contesto del territorio spagnolo, con una sua lingua, l’Euskera, una lingua che non appartiene al ceppo indoeuropeo al quale invece appartengono tutte le altre lingue europee. Neanche alla famiglia delle lingue neolatine alla quale appartiene la lingua spagnola. Questa peculiarità linguistica connota fortemente la cultura e la civiltà basca: la popolazione tiene molto a distinguersi dagli altri gruppi linguistici presenti in Spagna, il castigliano e il catalano, per affermare orgogliosamente la sua specificità. E se la lingua di un popolo è l’espressione del suo animo, della sua rappresentazione del mondo, l’Euskera della parlata basca rappresenta un mondo a parte, il desiderio di distinguersi e l’attaccamento alle tradizioni etniche e storiche del suo popolo.
Ma molti esempi abbiamo nella storia dell’Europa che segnano un confine troppo sottile tra l’orgoglio dell’appartenenza ad una cultura e l’espressione di un nazionalismo che rivendica a tutti i costi l’indipendenza da uno stato cui ci si sente, malgrado tutto, sottomessi e, in certo senso, abusati. Questo è ciò che ha portato il popolo basco a rivendicare l’indipendenza dalla Spagna a partire dal 1958 con la nascita dell’ETA che venne definitivamente sciolta nel 2007.
Gli anni in cui si intrecciano i fatti narrati da Patria sono quelli più recenti, intorno al 2011: la vicenda si incardina nell’ultima parte della lotta armata dell’ETA con la cattura degli ultimi terroristi e la decretata fine dell’organizzazione eversiva.
La narrazione procede a ritroso poiché parte dall’assassinio – ad opera di un componente dell’ETA-del Txato capofamiglia di una delle due famiglie interessate dalla vicenda, uomo mite e bravo lavoratore, fondatore e proprietario di una piccola impresa di trasporti e si sviluppa con l’andamento alternato dei piani temporali, fino alla conclusione dei fatti.
Le due famiglie di cui narra la vicenda – quella del Txato e di Joxian un tempo amiche -, subiscono, a causa dell’odio fomentato dagli appartenenti all’ETA, una trasformazione totale: tra tutti i componenti, un tempo uniti e solidali, i cui figli sono cresciuti insieme in un clima di allegra fratellanza, si determina una frattura devastante a causa dell’appartenenza di uno di essi, Joxe Mari, figlio di Joxian e Miren, all’ETA, cosa che induce anche la madre ad aderire acriticamente all’ideologia nazionalista. I figli di Joxian e Miren non si schierano ideologicamente con il proprio fratello, Arantxia, la sorella, colpita da un ictus invalidante, rimane lucida e imparzialmente fedele all’amicizia di prima dell’assassinio del Txato .
Aramburu sa descrivere con fine attenzione psicologica il carattere di tutti i personaggi fino a individuare in ciascuno di essi le motivazioni profonde che li portano a schierarsi con l’una o con l’altra parte ideologica, mentre contemporaneamente sono intenti anche a vivere la propria quotidianità individuale. Ma , a parte le due madri, i cui caratteri vengono delineati in modo netto -Miren e Bìttori che da amiche inseparabili diventano nemiche -, i giovani figli sono tratteggiati in tutti i risvolti psicologici che ne evidenziano i turbamenti, le indecisioni, i sentimenti : agiscono nella ricerca della loro identità ( Nerea e Arantxia), o prendono consapevolezza dei propri turbamenti omosessuali (Gorka) o ancora assumono la responsabilità della propria persuasione all’infelicità perpetua dopo la morte del padre (Xabier) o infine si sottraggono al coinvolgimento evitando qualsiasi decisione e schieramento (Joxian che si rifugia nella coltivazione del suo orto senza fare null’altro che lo costringa a prendere parte alla protervia della moglie Miren nell’odio verso la famiglia del Txato, un tempo amica, adesso odiata).
Il romanzo si snoda attraverso un racconto in terza persona che alterna la narrazione cronologica dei fatti con l’alternarsi di piani temporali diversi seguendo i ragionamenti e i ricordi di ogni personaggio che parla e racconta dal suo punto di vista i fatti. E’, quello di Aramburu, il racconto di come nasce e come viene alimentato l’odio, un sentimento devastante che mescola sullo stesso piano il desiderio di libertà e di riconoscimento della propria identità come popolo che ha una storia e una cultura diversa da quella di tutti coloro che condividono il territorio di uno stesso stato, con il mutamento di prospettiva e di sentimenti nei confronti di quelli che erano stati gli amici di un tempo e persino benefattori con i quali c’era un idem sentire nella condivisione di valori familiari, dell’amicizia, di vita comune, mutamento a favore di un sentimento negativo di odio indotto da un errato senso del concetto di “Patria”.
E così ciò che prima accomunava la famiglia del Txato a tutte le altre famiglie del piccolo paese basco nel quale si dà tutta la vicenda del romanzo, la lingua in primo luogo, l’onestà nel lavoro, la solidarietà e l’allegria condivisa nei giorni di festa, viene d’un tratto cancellato perché essere parte dell’Euskadi e vivere nel Heuskal Herria, deve significare per forza aderire alla lotta armata , non sottrarsi al finanziamento di questa lotta stessa, accettare acriticamente anche gli atti terroristici posti in essere dall’ETA.
Aramburu nel corso della sua narrazione, invece, racconta i sentimenti di tutti questi uomini e donne, personaggi del romanzo, e fa emergere come l’odio che nasce per qualsiasi causa, in questo caso per motivi politici , sia naturalmente estraneo agli uomini, una sovrastruttura che a volte riesce ad avere la meglio sulla struttura dell’essere umano.
E allora, ad esempio, non è un caso che l’autore affidi proprio al personaggio fisicamente più debole ma caratterialmente più forte, Arantxia l’ammalata, Arantxia sulla sedia a rotelle, Arantxia che non può parlare ma solo scrivere nel tablet, unico mezzo di comunicazione con gli altri, il compito di risanare le ferite, di ricucire le fratture dolenti che il lettore immagina come irrecuperabili.
E invece no. Gli ultimi capitoli del romanzo, bellissimi per come è stata concepita tutta l’architettura del libro e ancora più belli per la lingua che l’autore utilizza dalla prima all’ultima pagina, ci trasportano in un clima positivo di ri-composizione delle due famiglie sulla base del dolore comune ma diverso che ciascun membro ha provato e grazie al quale può ripensare a tutto il cammino pregresso che lo ha portato al proprio esito di vita. Il ripensamento del personaggio più scomodo di tutta la narrazione, vale a dire Joxe Mari, in carcere per l’attentato più devastante, ribalta tutta la tensione che si percepisce nel corso della lettura e induce la fiducia e la speranza, che sono sempre il frutto della volontà individuale. E non è ancora un caso che siano le due ex amiche del cuore, le due madri, Miren e Bittori, figure femminili portatrici dei valori familiari, a far sì che prevalga l’amore e che l’odio venga sconfitto. Nessuna retorica alberga in tutte le pagine del romanzo. Anzi la lingua parlata che viene utilizzata da Aramburu è la forma più funzionale al racconto di questa vicenda e l’alternarsi del discorso diretto con il discorso indiretto libero conferisce veramente il senso dell’oralità e della coralità a tutto il romanzo.
Questo è infatti, a mio avviso, il collante più forte che rende compatta e coesa vicenda e narrazione. Un tutto che si tiene perfettamente in equilibrio dove nessuna parola è in eccesso né in difetto.
Un’opera degna della grande letteratura, di quella letteratura che, anche a distanza di molti anni, si ricorda per la bellezza delle parole e per le idee universali veicolate con esse.

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