Resta con me, sorella

Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro

MARIA ROSA GIANNALIA

Resta con me, sorella
di Emanuela Canepa

Di recentissima edizione, questo nuovo libro di Emanuela Canepa si segnala per l’impianto narrativo molto particolare.
La storia è ambientata a Venezia, nella sua prima parte, alla Giudecca. Detta anche Spina Longa, l’isola della Giudecca è quella parte di Venezia meno battuta dall’attuale turismo ma che si può considerare essere ancora uno dei centri veneziani, quello meno legato al commercio ma più luogo di residenza di lavoratori, operai, addetti alle attività legate al turismo e alla ristorazione dove un tempo insistevano però anche attività industriali come i cantieri navali, le officine Jungans e il grandissimo mulino Stuky ora sede di un lussuoso albergo.
Ma c’è un altro luogo che non può passare inosservato ancora oggi al visitatore che si avventuri nell’isola: il carcere femminile. E’ questo il luogo dove l’autrice Emanuela Canepa dà inizio alla vicenda che si sviluppa durante il corso di circa un anno, proprio durante il fascismo, quando il regime è al suo apogeo.

   La narrazione presenta nell’incipit del primo capitolo la protagonista, Anita, una ragazza che è stata condannata a trascorrere in questo luogo di pena un pezzo importante della sua vita e, per la prima volta, lei che proviene da Padova, incontra quel paesaggio lagunare:
 Oltre la laguna il sole è appena calato all’orizzonte con un ultimo riverbero di rame. In mezzo ai canali l’acqua è così cupa che la barca pare scivolare su un selciato di ossidiana coperto di ghiaccio. La nebbia si è infittita ancora. Anita non sente voci, non vede luci alle finestre. La città sullo sfondo è materia densa e grigia che si mostra e si ritrae come cosa di pura appartenenza.

   Anita è condannata per una colpa non sua, una colpa che ha voluto assumersi consapevolmente ma che la precipiterà in un mondo privo di parole ma fatto di rumori solo necessari e di relazioni inesistenti.

   Ma, all’interno del carcere ha modo di conoscere una ragazza, prigioniera come lei, Noemi, l’unica con la quale riesce ad intessere una relazione fatta di sguardi e di scarse parole, sempre al riparo dalla vigilanza delle suore e lontano dalle altre detenute. Le due ragazze sviluppano un’intesa sulla base della reciproca indole – fiera e infrangibile quella di Noemi, orgogliosa e decisa quella di Anita – che ne fanno due icone di donne molto lontane dai cliché che i tempi e il regime pretendono dalle donne di quel momento storico e dei molti anni che verranno dopo e che le vedranno lentamente emergere dal pantano dell’asservimento sociale patriarcale quasi fino alla fine del secondo millennio.

   Anita uscirà dal carcere con una bella speranza: potere crearsi un futuro di lavoro mettendo in comune le sue competenze di contabile, delle quali ha dato prova durante il tempo della sua pena, con l’abilità nel ricamo di Noemi, in vista di un progetto vagheggiato da Noemi stessa di creare un’attività di produzione e commercio di tessuti nella città di Venezia.

   Questo è lo scopo che anima e riempie tutti i giorni di carcerazione di Anita, la quale, uscita dal carcere prima della sua compagna, ha la fortuna di essere accolta a servizio di una famiglia borghese che l’apprezza e le dà diverse opportunità.

   Anita è una donna che mette la sua libertà e il suo libero arbitrio al di sopra di ogni altra opportunità sia pure offerta benevolmente e senza disprezzo per la sua condizione di ex detenuta. La ricerca della propria realizzazione, innanzitutto come persona in grado di decidere da sé e per sé, le fa porre in secondo piano o anche rifiutare decisamente e con vigore ogni apparente opportunità. Anita non abbondonerà mai il suo obiettivo che è decisa a perseguire e a raggiungere insieme a Noemi, la quale però è invischiata in un tessuto esistenziale molto segnato dal danno ma anche dal passaggio da una informe sua propria presenza nel proprio contesto familiare alla consapevolezza di essere considerata persona da qualcuno anche se, alla lunga, la delude nelle sue aspettative e la inganna nel suo fisico. 

In casa mia c’erano solo maschi, eppure un uomo così non l’avevo mai visto. Ascoltava, capisci? Veniva da noi una volta al mese, e poi ogni giorno nelle ultime settimane di mia madre….Gli piaceva la mia compagnia. Mi ha insegnato a scrivere il nome, faceva molte domande. A parte mia madre, io non avevo mai parlato con nessuno. Non immaginavo cos’è avere davanti un altro che vuole capire chi sei. Io prima di lui non l’avevo mai saputo.

   Il finale della narrazione è aperto e induce il lettore a ipotizzare un futuro luminoso o, viceversa, una vita fatta solo di speranze che non troveranno mai una concretezza.

   Questo romanzo coinvolge molto perché al di là della storia narrata, ha una potente forza attrattiva sulle lettrici e sui lettori: attraverso una prosa solo apparentemente semplice, l’autrice intesse un testo raffinatissimo con precisione indubbia nell’uso delle parole calibrate sul contesto e di una sintassi che scorre veloce e chiara alternando paratassi prevalente con qualche concessione all’ipotassi specie nelle descrizioni, là dove serve a creare atmosfera. Ma è soprattutto la scelta verbale in tutta la narrazione – nell’uso insistito e coerente del presente indicativo – che questo libro assume levità e morbidezza nella lettura: chi legge infatti non si distacca volentieri dal testo ma lo segue come percorrendo una strada piana il cui paesaggio, ai lati, accompagna l’attenzione al contesto e alle idee. 

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