In questo post ‘Poesie per tutti: Autopsicografia‘ è possibile riflettere sull’importanza della poesia. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione l’articolo dell’autore di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare le proprie opere con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordienti per un successo letterario.
Ernesto de Feo
Autopsicografia

Poesie per tutti: Autopsicografia
Autopsicografia di Fernando Pessoa
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
Da fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente.
E quanti che leggono ciò che scrive,
Nel dolore letto sentono bene
Non i due che egli ha sentito,
Ma solo quello che essi non provano.
E così sui binari in tondo
Gira a distrarre la ragione
Quel trenino a carica
Che si chiama cuore.
(traduzione di Laura Naldini)
Continuando nella lettura di poesie aventi per tema le città, l’identità e i luoghi interiori, propongo una poesia che sembra scritta apposta per svelare qualcosa che avevamo sempre sentito,percepito ma mai saputo dire.
Autopsicografia di Fernando Pessoa è una di quelle. In pochi versi, il poeta portoghese riesce a spiegare cosa significa davvero scrivere poesia e perché spesso chi la scrive sembra più sincero proprio quando… finge.
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Autopsicografia è una delle poesie più celebri di Fernando Pessoa, un componimento breve ma profondissimo in cui l’autore riflette sulla natura stessa della poesia e sul ruolo del poeta. Il titolo – che unisce “auto” (sé), “psico” (anima) e “grafia” (scrittura) – suggerisce subito che siamo di fronte a un’autopsia dell’anima ma eseguita da chi ne è anche autore e osservatore.
“Il poeta è un fingitore” – comincia così. Un verso che può sembrare quasi uno schiaffo ma anche anche una carezza. Perché fingere, come l’intende Pessoa, non significa mentire: significa creare, evocare, dare forma. “Finge così completamente/Da fingere che è dolore/Il dolore che davvero sente.”. Il poeta non scrive perché soffre davvero in quel momento ma perché sa come si soffre. “E quanti che leggono ciò che scrive,/Nel dolore letto sentono bene/Non i due che egli ha sentito,/Ma solo quello che essi non provano”. E nel suo fingere riesce a farci sentire qualcosa di autentico. È un paradosso affascinante: ciò che è inventato può farci piangere più di ciò che è reale.
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Colpisce l’idea che Pessoa non voglia commuoverci col suo dolore personale ma con un dolore che ci appartiene tutti. La poesia diventa così un ponte tra le solitudini. Non è più diario ma specchio. In fondo, chi scrive sa bene che le emozioni vanno lavorate, trasformate. Non basta sentirle, bisogna saperle raccontare. Pessoa ci mostra questo con una freddezza apparente ma sotto c’è una delicatezza rara: la consapevolezza che il dolore, per diventare poesia, va reso leggibile anche a chi non l’ha mai provato. In un’altra poesia egli afferma:” Dalla più alta finestra della mia casa/Con un fazzoletto bianco dico addio/Ai miei versi che partono verso l’umanità./E non ne sono né allegro né triste./Questo è il destino dei versi”.

Autopsicografia è anche una confessione su cosa sia l’arte: una costruzione consapevole, eppure capace di toccare l’inconscio e illustrarlo per gettarci sopra un po’ di luce. Quanto detto pare si adatti bene ai versi di un’altra celebrità poetica, Emily Dickinson che scrisse: Accendere una lampada e sparire-questo fanno i poeti-. Una luce, una finzione così ben fatta da farsi verità. E leggendo quei versi, finiamo per sentirci più vicini al poeta, nonostante o forse proprio grazie a quella maschera che indossa.
Pessoa ci dice che non dobbiamo avere paura della finzione. Perché spesso, nella poesia come nella vita, è lì che si nasconde la verità più profonda.

Nota biografica: Fernando Pessoa (1888–1935) è uno dei più grandi poeti della letteratura portoghese e una delle voci più originali e rappresentativi del Novecento europeo. Nato a Lisbona, trascorse parte della sua giovinezza in Sudafrica, dove imparò perfettamente l’inglese e iniziò a scrivere anche in quella lingua. Tornato in Portogallo, visse una vita apparentemente ordinaria: lavorava come impiegato e traduttore, ma dentro di sé custodiva un mondo vastissimo.
La particolarità più affascinante della sua opera è il concetto degli eteronimi: non semplici pseudonimi, ma vere e proprie identità letterarie con una propria biografia, stile e visione del mondo. Tra i più noti ci sono Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos. Pessoa scriveva sia con la propria voce che attraverso queste “altre” voci, esplorando così il molteplice dell’animo umano.

Il suo capolavoro incompiuto, Il libro dell’inquietudine, firmato dal semi-eteronimo Bernardo Soares, è una delle opere più intense e meditative del secolo scorso.
Pessoa morì a soli 47 anni, lasciando dietro di sé un baule colmo di manoscritti – molti dei quali vennero scoperti e pubblicati solo dopo la sua morte. Oggi è considerato un gigante della letteratura mondiale, capace di parlare al cuore e alla mente con un linguaggio che è insieme semplice, filosofico e profondamente umano.

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