Poesie per tutti: IL NOCE

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In questo post ‘Poesie per tutti: IL NOCE‘ è possibile riflettere sull’importanza della poesia. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione l’articolo dell’autore di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare le proprie opere con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordienti per un successo letterario.

Ernesto de Feo
IL NOCE
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Ernesto de Feo

IL NOCE

di Nazim Hikmet

La mia testa è una nuvola schiumosa,
il mare è nel mio petto.
Io sono un noce nel parco Ghiulkhan,
cresciuto, vecchio, ramoso – guarda!
ma né la polizia né tu lo sapete.

Io sono un noce nel parco Ghiulkhan.
E le foglie, come pesciolini, vibrano dall’alba alla sera,
frusciano come un fazzoletto di seta; prendi,
strappale, o mia cara, e asciuga le tue lacrime.

Le mie foglie sono le mie mani, centomila mani verdi,
centomila mani io tendo, e ti tocco, Istanbul.
Le mie foglie sono i miei occhi, e io guardo intorno,
con centomila occhi ti guardo, Istanbul.

Le mie foglie battono, come centomila cuori.

Io sono un noce nel parco Ghiulkhan,
ma né la polizia né tu lo sapete.

1957

Traduzione: Joyce Lussu

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La poesia che presento oggi per la rubrica “Poesie per tutti” appartiene a uno dei massimi esponenti della poesia del Novecento: Nâzım Hikmet.
Innanzitutto va detto che il poeta turco è stato a lungo ignorato dalla critica ufficiale, disorientata dalla grande libertà e varietà di forme che caratterizzavano la sua opera e che rendevano difficile incasellarlo in una corrente letteraria precisa. Allo stesso tempo, Hikmet non si considerava un letterato in senso tradizionale: per lui la poesia era soprattutto uno strumento di comunicazione, un mezzo per incidere sulla realtà.

I tratti distintivi della sua scrittura sono l’autenticità e la spontaneità: la sua poesia non cerca forme metriche rigide o sovrastrutture filologiche, ma lascia fluire il ritmo vivo della parola.
Nella scelta della poesia da proporre oggi ho incontrato una certa difficoltà, tante sono le liriche straordinarie di Hikmet; ho comunque preferito presentare un testo che non parla né di lotta politica né (direttamente) d’amore — temi molto presenti nella sua produzione — ma che restituisse il suo modo unico di poetare.

Ne Il noce, Hikmet usa la natura, e in particolare l’immagine dell’albero, come simbolo della sua profonda connessione con Istanbul, con la patria e con la condizione dell’uomo sorvegliato e perseguitato per le sue idee. Il poeta si trasforma in un noce antico, radicato nel parco Ghiulkhan: una metamorfosi che simboleggia l’appartenenza indissolubile alla terra natale, nonostante esilio e persecuzioni. Il noce diventa metafora di resistenza e di presenza silenziosa, invisibile agli occhi della polizia e, forse, anche agli sguardi distratti della gente comune.

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La città è personificata come una donna amata: a lei il poeta tende le sue “centomila mani verdi” (le foglie) per consolarla e accarezzarla. Le foglie si fanno mani, occhi, cuori — strumenti sensoriali che permettono al poeta di toccare e guardare Istanbul con intensità viscerale. Il verso «ma né la polizia né tu lo sapete» è centrale: rivela la condizione del poeta, sorvegliato e braccato dal regime, ma capace di affermare la propria essenza attraverso la poesia — invisibile e insieme indistruttibile.

Le immagini che Hikmet adopera sono penetranti e sorprendenti: il noce come corpo poetico, le foglie come mani o occhi, il fruscio paragonato a un “fazzoletto di seta”. La musicalità del testo si rafforza con ripetizioni, allitterazioni e ritmi che rendono la lettura quasi ipnotica, restituendo alla poesia una vitalità ritmica e visiva.

E le foglie, come pesciolini, vibrano dall’alba alla sera,
frusciano come un fazzoletto di seta; prendi,
strappale, o mia cara, e asciuga le tue lacrime.

Le foglie che vibrano “come pesciolini” o fruscianocome un fazzoletto di seta” danno alla poesia un ritmo vitale, quasi musicale. Hikmet trasforma il noce in un essere dinamico, capace di emozioni e gesti: le foglie diventano strumenti di conforto (“asciuga le tue lacrime“) e di osservazione (“centomila occhi“).

E il verso “ma né la polizia né tu lo sapete” è cruciale. Rivela la condizione di Hikmet: un uomo sorvegliato, costantemente sotto il controllo del regime, ma anche un poeta che, come un albero, riesce a sfuggire alla comprensione immediata. La sua vera essenza — la sua poesia, il suo amore per Istanbul — rimane nascosta, accessibile solo a chi sa “guardare” oltre le apparenze.



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Nonostante la specificità del contesto (Istanbul, la polizia, l’esilio), la poesia parla di temi universali: l’amore per la propria terra, la resistenza silente, la bellezza che persiste anche nella repressione con un tono intimo a cui non manca il ritmo e musicalità, come già detto, Il Contesto storico nel quale Hikmet scrisse questa poesia nel 1957, dopo anni di prigionia e esilio un luogo reale a Istanbul, ma anche un simbolo della sua memoria e del suo legame con la città. 

Il noce” è una poesia di resistenza poetica. Hikmet, attraverso l’immagine dell’albero, afferma la sua presenza eterna nella città che ama, nonostante tutto. Le sue “centomila mani verdi” sono un abbraccio invisibile ma onnipresente, un modo per dire: “Sono qui, anche se non mi vedi. Sono parte di te, Istanbul”.

La poesia di Nâzım Hikmet è un ponte tra lirismo e impegno civile, caratterizzata da un linguaggio semplice ma potente, capace di parlare direttamente al cuore del lettore. Hikmet è stato tra i primi poeti turchi a liberarsi delle strutture metriche tradizionali, introducendo il verso libero e una sintassi più fluida, vicina al parlato. Questo ha rivoluzionato la poesia turca moderna, rendendola più accessibile e diretta tramite l’ uso di parole e immagini tratte dalla vita di tutti i giorni. Le sue poesie sono “delle piccole cose”, ma riescono a veicolare emozioni universali con immediatezza. L’amore, per Hikmet, non è solo sentimento privato, ma esperienza cosmica e politica. È un amore che abbraccia la vita in tutte le sue forme: dalla passione per una donna all’affetto per l’umanità intera, dalla nostalgia per Istanbul all’impegno per la giustizia sociale.

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Le sue poesie d’amore sono spesso intrecciate a una visione universale, dove l’intimo diventa collettivo. L’impegno sociale e la libertà  caratterizzano Hikmet come poeta “rivoluzionario romantico”: la sua voce è sempre schierata a favore degli oppressi, contro le ingiustizie, la guerra e la dittatura. La prigione, l’esilio e la lotta politica sono temi ricorrenti, ma trattati con un ottimismo vitale che trasforma la denuncia in speranza. La natura — il mare, gli alberi, le nuvole — è spesso metafora della condizione umana e della sua resistenza. Hikmet si identifica con elementi naturali (come Il noce nella poesia che stiamo leggendo ) per esprimere il suo legame indissolubile con la terra natia e la sua capacità di sopravvivere nonostante la repressione.

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Nota biografica: Nâzım Hikmet (Salonicco, 15 gennaio 1902 – Mosca, 3 giugno 1963) è stato uno dei più grandi poeti, drammaturghi e scrittori turchi del XX secolo, spesso definito “comunista romantico” o “rivoluzionario romantico”. Nacque in una famiglia aristocratica di origini multietniche: il padre era un diplomatico ottomano, la madre una pittrice appassionata di poesia francese. Dopo aver studiato a Istanbul e abbandonato l’Accademia navale per problemi di salute, aderì al movimento nazionalista di Atatürk durante la guerra d’indipendenza turca, ma si allontanò presto per abbracciare ideali comunisti.

Nel 1928 aderì al Partito Comunista turco e fu più volte arrestato per le sue idee politiche, trascorrendo lunghi periodi in carcere (1929-1935 e nuovamente dal 1938). Nonostante la repressione, continuò a scrivere poesie che rivoluzionarono la letteratura turca, introducendo il verso libero e temi sociali e umani. Nel 1950, dopo 12 anni di detenzione, ottenne la libertà e si rifugiò in Unione Sovietica, dove visse fino alla morte, ottenendo anche la cittadinanza polacca.

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Hikmet è ricordato per la sua poesia impegnata, l’amore per la libertà e la giustizia sociale, e per opere che uniscono lirismo e impegno politico. Morì a Mosca nel 1963, lasciando un’eredità letteraria che lo rende uno dei poeti più amati e tradotti al mondo. 

La sua originalità e eredità sta nella fusione di  elementi orientali e occidentali. Difatti  la sua poesia unisce la dolcezza della tradizione lirica orientale a un ritmo più moderno, quasi occidentale, creando uno stile unico. E come già detto all’inizio Hikmet concepisce la Poesia come azione. Per il poeta turco scrivere è un atto di resistenza. Le sue parole non sono solo bellezza, ma strumenti di cambiamento, capaci di ispirare speranza e lotta. 

In sintesi Hikmet ha creato una poesia che è canto d’amore, grido di libertà e abbraccio alla vita, usando un linguaggio semplice ma carico di significati profondi. La sua voce resta attuale perché parla di temi universali — l’amore, la giustizia, la bellezza — con una passione che travalica il tempo e i confini geografici.

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